sabato 14 maggio 2011

Tre domande a... Luca Mosca

Il Maggio Fiorentino riconferma anche in questa edizione la sua attenzione verso l’opera italiana contemporanea presentando, dopo Antigone di Ivan Fedele (2007), Patto di sangue di Matteo D’Amico (2009) e Natura viva di Marco Betta (2010), L’Italia del destino di Luca Mosca su libretto di Gianluigi Melega con la collaborazione di Pilar García e Davide Livermore: tutte opere commissionate e rappresentate in prima assoluta nell’ambito del Festival. Si tratta dunque di un progetto di ampio respiro, che quest’anno dà spazio ad un musicista di fama internazionale, particolarmente attratto dal teatro musicale. Non solo, del tutto inusitato per l’opera lirica è l’argomento de L’Italia del destino, Real-italy in un atto, avendo appunto a base della vicenda un reality show, di cui gli autori si servono per gettare uno sguardo acuto e penetrante, quanto critico, sulla realtà italiana dei nostri giorni, sulla cultura e sul costume nazionali.

Partiamo dall’argomento: credo sia la prima volta infatti che un’opera ha per soggetto un reality show. Non le chiedo un giudizio su questo genere televisivo così in voga, perché emerge chiaramente dal libretto della sua opera ed è estremamente critico, ma perché, insieme ai librettisti, avete deciso di affrontare il mondo del reality show.
Innanzitutto, penso che l’opera contemporanea possa e anzi in questo momento debba affrontare argomenti, diciamo così, oscenamente attuali. Trovo osceni i reality, però sono anche un “guardone” affascinato da questo orrore che una televisione assai peggiorata negli ultimi anni sforna in continuazione. Affascinato, perché si può toccare con mano a che punto di aerea idiozia può arrivare l’essere umano e trovo che tutto ciò abbia una sua orrida purezza nella sua “nudità”, pur in uno spettacolo in cui tutto è finto, in cui non c’è neppure il sospetto della verità. E solo un ingenuo, ma purtroppo sono tantissimi gli ingenui, può pensare che ciò che accade in un reality sia la realtà, mentre invece tutto è preordinato, “recitato”. Insomma, l’ignobile purezza dei reality mi intriga ed ho accolto con entusiasmo l’idea di scrivere un’opera su questo mondo, certo che sarei riuscito a ricrearlo alla mia maniera. Del resto, comporre un’opera significa sempre ricreare un universo: può essere l’universo mondo, ma anche l’universo di un reality show. E attraverso la musica ritengo di aver espresso la mia visione corrosiva e il mio pensiero su questo argomento. Mi interessa molto poi il ritmo del montaggio televisivo: poiché spesso la televisione deve rivestire il nulla, si serve dell’incalzare delle immagini. Ritmo televisivo e ritmo cinematografico hanno a che fare con la musica: ed è dunque interessante osservare come è montato o costruito formalmente un reality. Per esempio, i cosiddetti “confessionali”, dove un concorrente inizia a sputare veleno sugli altri...

Come si è sviluppato il suo rapporto con il librettista? 
Si è trattato di un rapporto di grande collaborazione, dove credo abbia giocato un ruolo fondamentale il conoscersi bene e l’amicizia, perché fra compositore e librettista deve esserci una grande sincerità: bisogna poter dire liberamente ciò che si pensa. Non può andare tutto bene subito, è necessario lavorare, rifare, limare. In questo caso, la richiesta di Paolo Arcà a Melega era stata quella di un’opera sull’Unità d’Italia. Melega aveva iniziato a lavorare, scrivendo un libretto, che ho musicato interamente, basato su una prova de La forza del destino: cioè una compagnia teatrale d’oggi che provava quell’opera, una sorta di teatro nel teatro. Né Melega, né io eravamo veramente soddisfatti del lavoro e abbiamo accolto il prezioso suggerimento di Davide Livermore che, letto il libretto e la partitura, ha proposto di trasformarlo in un reality show. Perché ciò che accadeva in quella compagnia era molto adatto a diventare materia per un reality: le risse continue, le pulsioni sessuali, per cui il sesso sembra l’unico motore dei rapporti fra i personaggi. Dunque il libretto è stato totalmente rivisto da Gianluigi Melega e da Pilar García (e dallo stesso Livermore), e si è giunti al risultato attuale, che mi ha soddisfatto pienamente, stimolandomi a riscrivere completamente la musica. Rimangono accenni al Risorgimento, rimangono e sono rappresentati dal quiz culturale sull’Unità d’Italia che il Presentatore propone ai concorrenti. Dai truci protagonisti de L’Italia del destino sembra emergere infatti piuttosto la dis-unità che l’unità della nazione. Ci sono, nell’opera, delle caratterizzazioni regionalistiche e quell’astio campanilista che appartiene alla nostra storia.

Infine, qual è la struttura musicale dell’opera?
È un’opera fatta a numeri chiusi, ventotto per la precisione, con un prologo ed un epilogo, undici scene, quattro “confessionali”, due telegiornali e nove stacchi pubblicitari, dando luogo a situazioni sempre diverse, dove gli unici motivi che ritornano sono la sigla iniziale, che viene ripetuta alla fine, come avviene nelle trasmissioni televisive e il telegiornale che ha la vera sigla del vecchio storico TG1. Le pubblicità hanno degli stacchi sempre modificati, ma con un’origine unica che li rende immediatamente riconoscibili. Invece le scene e i “confessionali” scorrono via in maniera assolutamente orizzontale, senza nessun motivo ricorrente. Ma la musica è molto più complessa delle parole e deve parlare da sola!

(L'intervista completa a Luca Mosca, a cura di Franco Manfriani, è pubblicata sul programma di sala per L'Italia del destino).

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