mercoledì 4 maggio 2011

Tre domande a... Marco Berti

A partire dal debutto avvenuto nel 1990, il tenore Marco Berti, che pochi mesi fa ha interpretato al Maggio il ruolo di Cavaradossi nella Tosca, ha calcato le scene dei principali teatri del mondo, riscuotendo ovunque grande successo e affermandosi come uno dei più importanti interpreti delle opere di Verdi e Puccini.

Cosa ne pensa di questa produzione con la regia di Ferzan Ozpetek? E del suo personaggio, Radamès, è enfatizzato più l’aspetto eroico o quello dell’innamorato?
La produzione è molto bella, tradizionale, con colori accesi, però funzionale, da vedere. Bello il gioco di luci, belli i costumi. Sono anni che non si vede una produzione di questo calibro; del resto è stata realizzata da Dante Ferretti! Riguardo alla regia, ognuno di noi cantanti porta sempre la propria esperienza a confronto con quella del regista, cercando di realizzare il personaggio al meglio in base ai due punti di vista. In particolare, con Ozpetek abbiamo fatto un lavoro che puntava alla naturalezza, senza l’artificiosità tipica del teatro lirico. E tutto ciò mantenendo sempre il rispetto per la propria vocalità e dando la possibilità di esprimersi al meglio nel canto e nella musica.
A proposito di Radamès posso dire che non lo considero un personaggio totalmente positivo: o almeno, lo è solo dopo il III atto, quindi alla fine. Radamès è ambizioso, nella prima parte guarda solo al successo; aspira alla vittoria, desidera che gli venga affidato il ruolo di comandante e poter chiedere così la mano di Aida. Tanta utopia e poca razionalità. Il grande sogno di Radamès è quello di conquistare il potere; è un ragazzotto, un soldato e ha il piede in due scarpe: è innamorato di Aida ed è corrisposto, mentre Amneris è innamorata di lui, non corrisposta; Radamès però sa che Amneris in quanto figlia del faraone potrebbe avere una certa influenza sulla decisione finale di chi porre al comando delle schiere egizie e quindi gioca molto sul suo affetto, lascia intendere senza mai dichiararsi. Questo fino alla conclusione del III atto: quando si scopre tradito da Aida, abilmente manovrata dal padre, li fa scappare e si consegna nelle mani del sacerdote come traditore della patria. Si sente ovviamente in parte ingannato da Aida, ma anche lui in qualche modo ha tradito Amneris, poiché tutta la fiducia in lui riposta è stata delusa. Il coraggio a questo punto non gli manca, ma solo adesso, nel quarto atto, si rivela un eroe: “io muoio per lei; ho tradito la mia patria e sono pronto a morire”; quando poi Amneris rivela che Aida è ancora viva, Radamès la immagina felice in patria ed è contento di morire solo per i propri errori. Grandissima delusione quando trova Aida nella tomba! La credeva salva e infatti dice: "Morir! sì pura e bella! | Morir per me d’amore". Aida è innamorata di lui, sapendo della sua condanna si è intrufolata nella prigione-tomba, e decide di morire assieme a lui; per Aida infatti non ha senso la vita senza Radamès; e, di conseguenza, Radamès sceglie di morire per Aida.

Come si colloca Radamès, anche dal punto di vista vocale, rispetto agli altri personaggi verdiani?
Verdi è sempre Verdi. Aida presenta forse qualche insidia in più: da principio si richiede il tenore eroico, di squillo, con subito una difficoltà, l’aria "Celeste Aida" posta all’inizio; una parte centrale, il terzo atto, dove si ha invece il tenore spinto per antonomasia, per poi arrivare al quarto atto, la parte finale, in cui il tenore deve essere lirico, realizzare molti effetti e sfumature a fil di voce. Sono varie sfaccettature che portano a una difficoltà vocale e musicale non indifferente. Tanti tenori ritenevano Aida una delle opere più difficili: Corelli diceva che era più difficile di Manon Lescaut e che nella parte ci sono 29 si bemolle (io però non li ho mai contati)! In pratica in Aida si ha lo slancio pucciniano mantenendo però un fraseggio verdiano. Radamès è un ruolo complesso, non è certo una passeggiata.

Lei ha definito Verdi il Mozart italiano. Cosa accomuna i due compositori?
Con Verdi, uno dei miei autori preferiti, non puoi lasciarti prendere dalla passione e dal cuore; o meglio, la passione e il cuore ci devono essere ma devono essere usati col cervello e con la razionalità. Stessa cosa in Mozart: non si può dare niente per scontato, bisogna essere estremi calcolatori in tutto se si vuole arrivare alla fine. Tanti affermano che Mozart scrive opere su cinque note. Invece no: tenori, soprani, tutte le voci sono sempre esposte; bisogna davvero saper cantare per arrivare sino in fondo. Con Verdi è lo stesso. Mentre in Puccini un singhiozzo, un pianto possono aiutare, Verdi invece non ti regala niente. Per quello è il Mozart italiano. C’è chi lo definisce “zum-pa-pa”: in parte è vero, nel senso che ci sono momenti in cui l’accompagnamento è nullo e il cantante deve fraseggiare, colorare, fare il legato, emettere suoni belli, portare tutti i legati agli acuti e ottenere quindi un’omogeneità vocale che a volte manca in Puccini. Ad esempio in Madama Butterfly: Pinkerton è un ruolo più d’impeto, con qualche grande frase e qualche acuto di slancio. In tutta l’intera produzione di Verdi invece, dal Nabucco in poi, non è così. Basti pensare alla Messa da requiem, che a mio parere è un compendio verdiano: se non hai il fraseggio, il legato, soprattutto se non sai cantare, non arrivi in fondo. Prova ne è che tanti ci lasciano le penne: è fondamentale essere vocalmente in forma; basta anche il raffreddore di una sera per avere problemi. Eppure quella del Requiem non è una parte lunga ma è impegnativa. Si pensi all’Hostias: è il momento clou, con un accordo sotto, un tremolo di archi, e il tenore attacca con un mi, quindi zona di passaggio di registro, e deve attaccare piano; e così anche nelle frasi successive. È davvero impegnativo.

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